venerdì 25 aprile 2008

Oggi è il compleanno dell’Italia

Walter Veltroni - Europa e L'Unità


Uno tra i più seri e importanti storici italiani, in un suo articolo di qualche giorno fa, ha immaginato la cronaca di questa giornata riportata in una ipotetica Storia d’Italia nel XXI secolo pubblicata tra dieci anni.

«Il 25 aprile 2008 si celebrò solennemente in Italia – così il racconto del libro – il sessantatreesimo anniversario della Liberazione e il ritorno della democrazia.
Alla cerimonia nella capitale erano presenti, con il presidente della repubblica, numerosi esponenti politici: Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Umberto Bossi e Walter Veltroni, ciascuno con una coccarda tricolore sul petto. Ovunque gli italiani festeggiarono l’evento con un inno corale di fedeltà allo stato nazionale e alla democrazia nata dalla Resistenza».

Che una pagina del genere nessuno potrà mai leggerla, perché oggi questo non accadrà, è purtroppo una cosa evidente.
Il problema, però, resta tutto.

Resta il fatto che come italiani fatichiamo da sempre a riconoscere la nostra storia, a ritrovarci in una vicenda collettiva, persino a identificarci tutti insieme in simboli come l’inno o la bandiera, che per altri popoli sono naturalmente comuni.

Resta la questione di un incontro, quello tra memoria e politica, che in questo nostro paese proprio non riesce a celebrarsi senza che le ossessioni ideologiche del secolo scorso continuino, invece, ad avere la meglio sul saldarsi di una vera coscienza nazionale comune.

E così succede, appunto, che una data come il 25 aprile, che dovrebbe unire tutti gli italiani ed essere patrimonio condiviso, come avviene per il 14 luglio in Francia o il 4 luglio negli Stati Uniti, venga invece fatta oggetto di polemiche che definire piccole e contingenti è sin troppo generoso. Siamo ormai abituati, anche se faremmo bene a non esserlo mai: ogni anno, puntualmente, ci sono esponenti politici che chiedono di abolire la ricorrenza del 25 aprile o che pur ricoprendo incarichi istituzionali preferiscono disertare appuntamenti ufficiali e cerimonie pubbliche.

Senza salire fino ai gradini più alti la scala delle responsabilità politiche, cosa che pure si potrebbe facilmente fare, ricordo bene le parole con cui un autorevole dirigente di Alleanza nazionale annunciò che avrebbe disertato la manifestazione per celebrare a Milano il sessantesimo anniversario della Liberazione.
«Ho di meglio da fare», disse, aggiungendo poi: «Del resto non è mica un obbligo. La libertà e la democrazia consentono di fare queste scelte».

Ecco, questa è l’unica cosa esatta detta quel giorno da quell’esponente della destra italiana. Oggi la libertà e la democrazia consentono di prendere anche decisioni sbagliate, consentono di presentare anche disegni di legge gravi, come quello sulla qualifica di militari belligeranti a quanti prestarono servizio nelle file della Repubblica sociale italiana. Ma se è così, sarebbe bene allora non dimenticare mai da dove arrivano, questa libertà e questa democrazia. E grazie a chi. È qualcosa che dobbiamo ai ragazzi che scelsero di rischiare la propria vita per l’Italia, che dobbiamo ai partigiani di ogni colore, a chi lottò per un’Europa democratica, civile e solidale.

Non lo dobbiamo certo a chi era dall’altra parte, a chi stava a fianco della Germania hitleriana che massacrava i nostri soldati a Cefalonia, a chi scelse di difendere i principi antidemocratici e antisemiti contenuti nella Carta di Verona, a chi collaborò a rappresaglie ed eccidi, a chi condivise la tremenda responsabilità di quanto avvenne nel Ghetto di Roma, a Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema.

Furono gli uni, e non gli altri, a riportare libertà e democrazia in un paese che da più di vent’anni le aveva perse, smarrite nel buio della dittatura. Perché sia detto per inciso e con chiarezza: per fare i conti fino in fondo con il fascismo non basta individuare la data del 1938 e condannare la vergogna, l’infamia assoluta, delle leggi razziali. Da quel momento il regime diede il suo orribile contributo alla Shoah, allo sterminio del popolo ebraico, ma il crimine nei confronti di tutti gli italiani, del loro diritto a dire quel che pensavano, a riunirsi e associarsi liberamente, a stampare quel che volevano senza finire in carcere o al confino, era stato compiuto ben prima.

È una verità storica che non può essere negata, che non può essere affogata nel mare di una generica indifferenza. È giusto guardare alle vicende che sono alla base delle istituzioni repubblicane con uno sguardo aperto e sereno, sgombro dalle vecchie ideologie, dai pregiudizi che a volte hanno reso più difficile la comprensione delle cose.

“Deideologizzare” il passato, riconoscere ad esempio la memoria dei vinti, rispettare le morti di ogni parte di quella che fu anche una guerra civile, fatta da italiani contro altri italiani, va bene, è anzi doveroso.
Ma sbaglia chi pensa che questo possa significare fine di ogni distinzione o una sorta di oblio della memoria.

Non si può in alcun modo equiparare Salò e la Resistenza, il fascismo e l’antifascismo. La Resistenza e l’antifascismo sono un valore, sono un irrinunciabile patrimonio etico ed “esistenziale”, sono il luogo e il momento in cui la repubblica, le nostre istituzioni, affondano le loro radici. La nostra identità, la nostra unità nazionale, nascono lì, in quel tempo. Da quella spinta verso la libertà e la democrazia nacque la repubblica.

Grazie a quel sentimento di comune appartenenza, a quello spirito di concordia, a un senso delle istituzioni più forte delle rispettive ragioni, fu scritta la nostra Costituzione, furono sanciti i principi grazie ai quali l’Italia è cresciuta e oggi è un grande paese. Per quanto ci riguarda, la Resistenza, i valori che l’hanno animata e sostenuta, sono patrimonio fondamentale del Partito democratico, fanno parte della nostra cultura, del nostro modo di essere e di intendere la politica.

Tra gli impegni che sentiamo di avere c’è, per questo, contribuire a sottrarre il 25 aprile dalle intemperie della politica e far sì che un domani non lontano una “Storia del XXI secolo” possa davvero raccontare che si tratta, insieme al 2 giugno, della data simbolo dell’unità degli italiani.
Di un giorno da festeggiare.
Tutti, senza riserve e con convinzione, perché è il giorno in cui si ricorda la nascita dell’Italia libera e democratica.

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